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I versi di Marcov

Questa pagina ospita i versi ed i pensieri di Marco Villani, indomito alfiere del conflitto e instancabile combattente per la dignità del lavoro, sempre dalla parte dei più deboli.

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La nuova Cura                             

Coperto di polvere e di latta, come un giocattolo, il giocattolo del lavoro senza regole e pietà.                                             

Nel Mondo folle che ci stiamo regalando, stanno insieme asettica robotizzazione e antica schiavitù senza troppa distinzione.                                                         

Ci nutriamo di ipocrisia e di eccessi, consumiamo tutto ma profumati di moderna civiltà, ci crediamo evoluti e invece siam fessi.                                                               

La nuova cura, la giusta cura, non sta nel perdersi in mondi digitali che pochissima umanità controlla, ma farci carico ognuno dell’altro, piangere per il “ bimbo del nemico”, amare ogni essere della nostra folla.                                   

Ecco lavare la polvere dal corpo di questo fratello, togliere la latta dal naso, dalle mani e dal suo giovane e prezioso cervello, perché si può essere artigiani senza morirne, essere lavoratori senza creparne, essere umani senza roboticamente impazzirne.                             

Marcov 1.12.24

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Un fiore non ancora sbocciato

Il giardino ben curato, il prato di un club riservato, il verde decorativo che vorrebbe ingentilire la figura di un orrido potere, in nessun di questi posti e’ mai cresciuto, nessuno lo ha mai osservato. 

Lo puoi vedere, con lo sguardo giusto, nella polvere dell’ingiustizia, nel fango della povertà, laddove si perpetua lo sfruttamento nel lavoro, dove la differenza non è un valore e lo stupido razzista prova disgusto. 

Cresce e ricresce da migliaia di anni, quel fiore dal colore vermiglio disgraziato, profuma violentemente di speranza, eppure del tutto non è mai sbocciato. 

Marcov 22.9.24

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Quelli davanti al cancello         

Era a Livorno, il mare grigioverde d’inverno, andavo a scuola a piedi, con la cartella che sbatteva sulle spalle un percorso che a volte sembrava breve, a volte invece eterno.

Ero un ragazzino di 8 anni e mille curiosità, eran giorni che passavo davanti ad un cancello strano, una lunga fila di lenzuoli sopra scritte in rosso, uomini in piedi davanti con megafono e fogli in mano.                                              

Vai bimbo, vai a studiare ma attento a non farti fregare…così mi dicevano ogni giorno, io li guardavo curioso, un sorriso a quei volti segnati, mia sorella che intanto mi tirava, i minuti alla campanella sempre contati.          

Un cancello lungo e colorato, mi dicevano altri di star più lontano di non passar vicino, che avrei disturbato.                                             

Io passavo invece sempre più vicino, rallentando per capire, mi accarezzavano la testa quelle mani grandi e segnate, intanto ascoltavo quelle voci e quelle storie gridate.                          

Passai un giorno con le mele nel sacchetto, un regalo per quei signori in piedi davanti al cancello di rosso agghindato, grazie mi dissero in coro livornese, vai e impara bene ometto! 

Marcov (20.08.24)

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Amo chi lotta

Amore, amore, riempie pagine e storie; 

coinvolge tutto ciò che di umano vive e taglia l’anima di che ne soffre, così come le anime che ne sono prive. 

Amo, amo anch’io ovviamente, ma voglio parlar di amore per chi lotta, il mio più profondo, sicuramente. 

Amo, amo chi lotta, chi da sempre ha lottato per un futuro più giusto, contro un presente e un passato sbagliato. 

Amo, amo chi lotta in ogni settore, amo ogni sciopero, ogni manifestazione, ogni scontro frontale, amo chi lotta fino a farsi del male. 

Amo chi non si accontenta, amo chi non fa sconti su nessun diritto, amo chi lotta perché a viver stenta.

Amo i cacciati, gli espulsi per troppa intransigenza, amo gli esclusi, coloro che hanno l’animo ferito dall’ingiustizia in eterna sofferenza. 

Amo, amo chi lotta e ogni volta pensa e si schiera, in base all’eterno urlo di rivolta e non per convenienza, amo chi lotta scomodamente, senza vantaggi e scorciatoie, amo chi rischia nella Storia, contro ogni potere e le sue avide pastoie. 

Marcov (6.7.24)

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Se bastasse 

Se bastassero le lacrime, la disperazione a tragedia compiuta, per bloccare l’orrore dell’egoismo ignorante, allora piangerei disperato, senza contare il tempo, lacrime rabbiose, tante. 

Se bastasse urlare e manifestare, dopo ogni morte avvenuta, per impedire il ripetersi del medesimo assassinio di lavoratori innocenti, allora sarei sempre in strada, urlando e piangendo rabbioso, tra compagni infuriati e sgomenti. 

 Se bastasse il cordoglio e la tristezza ufficiale, tutto sarebbe già cambiato, risolto il conflitto che avvelena il Paese e distrugge lo Stato, il ritorno a casa dopo il lavoro sicuro, un fatto normale. 

Realtà ci parla, come madre lacerata senza più figli da abbracciare: combattete prima, rovesciando “il sistema”, prevedendo ogni rischio, chiamando tutti a raccolta in fraterna catena. 

Marcov (22.6.24)

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Repubblica

Idealizzata in Atene, condotta a Roma per diventare più oligarchia e poi impero, sognata da tanti esseri umani, che sacrificarono la Vita, affinché Repubblica divenisse il Vero.

Noi partimmo male, mischiando signorie padronali, autorità papali e sabaudo regno, Mazzini e altri disperavan che il nostro Popolo ne fosse degno.                                            

Ci volle ancora più sofferenza, una dittatura e poi una guerra terribile, che distrusse tanto, ma non l’italiana resilienza. 

Nacque allora come una bimba bella ma fragile, cresciuta tra strappi e inganni, trame oscure e storici malanni.                                  

Ora che è una bella signora, un po’ anziana, si guarda con ansia i difetti e le rughe, sentendosi passata e meno sovrana; occorre darsi una crema di senso civico, un ricostituente collettivo, per andar avanti insieme a Lei, accarezzandone tutte le voci che la chiamarono, quando il nostro mondo ne era privo.         

Marcov (2.6.24)

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Capaci ed Incapaci

Capaci…un tuono che svela, strappando vite preziose, il silenzio del Paese, assordante;

Poi non interessano i pianti e le scuse, povere cose.                         

Incapaci, di darci un civico senso e mi guardo attorno amando comunque ogni persona, pur in un Paese troppo indifferente, di un egoismo immenso.                           

Capaci…di tutto, di far esplodere ordigni in ogni dove, di infiltrare chi promuove e chi applica la legge, noi incapaci di reagire stolido gregge.                      

Tuono che rivolta chilometri di asfalto, noi fummo incapaci di credere che si potesse arrivare a tanto, morti ancora e ancora, tra bandiere e stendardi che sventolano…intanto.                         

Saremmo capaci di essere comunità vera, consapevoli e uniti in questa terra? Paolo e Giovanni sono morti, con altri “ cento “ , insegnandoci ad essere capaci di reagire a questa mafiosa guerra.

Marcov (23.5.24).

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A Peppino

46 anni…no caro Peppino, non ci siamo ancora, anzi a volte par di fare passi indietro, di non avere nessuna ottimistica risorsa, eppure tu diresti, col tuo sorriso ironico e proletario: < non vi scoraggiate forse andate indietro per prendere la rincorsa>. 

Manchi Peppino, manchi non solo alla tua città e alla tua terra, manchi a tanti nel nostro Paese, manchi in un Mondo stupido e folle, sempre più sballato e ancora “ in guerra”.

Manchi e rileggo le tue parole :<<Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”>>. 

Hai ragione anche oggi, dopo quasi mezzo secolo, perché siamo sempre più distratti, Peppino caro, più indifferenti e anestetizzati, giochiamo con i tasti, inquadrando immagini senza “ vedere”, tu diresti ma che fate ? Dandoci un amichevole politico calcio nel sedere.                                               

 Marcov (9.5.24)

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