In Italia la battaglia delle otto ore è di poco successiva e riguardava mondine, operaie e operai tessili e metalmeccanici, termina nel 1919 ma nasce nelle filande torinesi dove le donne lavoravano 16 ore al giorno, da qui il celeberrimo canto delle mondine che traduce bene la fatica: “Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorare e sentirete la differenza di lavorar e di comandar.”
Ritengo sia sempre utile ricordare o conoscere la storia per diverse ragioni: ci consente una gratitudine infinita nei confronti di quelli che morirono o si batterono fino alla fine per un ideale, per la giustezza di una causa, per i diritti di tutte e di tutti; ci consente in questo caso di rispettare il lavoro in quanto tale, attraverso la dignità che ne deriva, e conseguentemente la dignità di ciascun lavoratore.
La questione sociale che si interseca alle proteste, le più varie che possono nascere in ogni tempo, non deve essere isolata ed emarginata, non deve essere neppure individuale ma indirizzarla a un sentimento collettivo generando un cambiamento culturale globale. Già ne “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza (NdA: foto scattata nel mio salotto), si racchiude questo concetto: la folla guidata da due contadini e una donna avanza verso il signorotto padrone in maniera calma e ordinata per reclamare quello che spetta loro di diritto.
È quello che argomenta Tommaso Vigliotti nel suo libro “Riscoprire il conflitto” nel quale vengono tracciate, tra le altre cose, delle linee ben precise per una nuova stagione sindacale. L’importanza dei temi del lavoro per esempio, secondo l’autore deve interessare la collettività, intesa come globalità delle persone sfruttate nel mondo, questo per non rischiare di svuotare l’oceano con un cucchiaino. In questo senso allora è chiaro come e in che modo bisogna riscoprire il conflitto per rivendicare azioni di lotta per i diritti dei più deboli, evitando per esempio quello che le aziende più grandi fanno da anni: avere l’alternativa di spostare la produzione in paesi con diversi livelli di sviluppo e in cui le rivendicazioni sono ben lungi dall’esserci pur di mantenere il posto di lavoro!
Insomma, niente di così lontano da casa nostra, dalla nostra comfort
zone, e allora per ridare dignità al lavoro, Vigliotti indica un “obiettivo
universale di una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza”.
Festeggiare dunque la giornata del lavoro oggi, deve essere monito per il
sindacato “che punti in alto, che miri all’uguaglianza universale, alla
crescita del lavoro e delle condizioni economiche e normative di chi lavora, a
volgere alto e fiero lo sguardo all’orizzonte dove si può intravedere un mondo
più giusto. La dignità è insita nel lavoro onesto ma non è sinonimo di lavoro
povero. La vita deve essere dignitosa e può esserlo solo attraverso il lavoro”.
È facile a questo punto, auspicare tutto quanto occorra per
intavolare una stagione di lotte, volgendo lo sguardo al futuro con libertà e
dignità, soprattutto nel lavoro.
Buon primo maggio, buona festa dei lavoratori!
Sono molto in linea con le considerazioni di Tommaso, il saggio ci sollecita ancora di più a intraprendere la strada del “ sano conflitto” per difendere lavoratrici e lavoratori. Ora per effettuare al meglio tale attività sindacale conflittuale occorre che le rappresentanze sindacali siano elette e rinnovate periodicamente. Oggi, in moltissimi casi, c’è grande distanza tra lavoratori e rappresentanti, molti anche quasi sconosciuti alla base che rappresentano. La prassi utilizzata nel nostro settore di cooptare le persone che intendono fare attività sindacale ha portato moltissime nullità a fare appunto “ nulla “ e pochi a sobbarcarsi di tutto il resto. Ci sono membri dei coordinamenti sindacali che sono molto più conosciuti dalla teorica controparte che da coloro che rappresentano. Tutto questo deve finire , anche per rispettare il dettato costituzionale. Credo che sarebbe giusto rinnovare una battaglia per eleggere le RSU anche nel nostro settore ( meglio se con regolamenti realmente democratici). Marco Villani
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