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E se lo dice anche l'ISTAT... e poi addirittura il banchiere...

Immagine tratta da https://www.istat.it/it/archivio/296796
E se non basta, per alcuni, quanto da anni denuncia Oxfam, e se l'evidenza del carrello della spesa sempre più vuoto è considerata frutto di una mania per la linea delle famiglie italiane, ora è anche l'ISTAT a certificare l'impoverimento di chi vive di lavoro.

Se l'Istituto Nazionale di Statistica è oggi diventato inattendibile o pericolosamente eversivo, mi scuso fin d'ora per averlo preso in seria considerazione.

Ma cosa ci dice esattamente l'ISTAT nel  recente "Rapporto annuale per il 2024. La situazione del Paese", reso pubblico lo scorso 15 maggio e disponibile sul sito dell'Istituto (clicca qui)?

Ci dice che, sebbene nell'ultimo triennio l'economia italiana sia cresciuta più della media dell'UE e di due colossi come Francia e Germania, le retribuzioni sono cresciute molto meno dell'inflazione: "tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3 per cento, mentre le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 4,7 per cento".

Il rapporto evidenzia anche che nel biennio 2020-2021 la dinamica dei rinnovi contrattuali era pressoché statica, con quasi il 31% di contratti scaduti. Nel biennio successivo, 2022-2023, con il rinnovo di 45 CCNL relativi a circa 5,5 milioni di lavoratori, l'attività negoziale ha rispreso slancio. Ciononostante, l'inflazione erode i salari ed il potere d'acquisto reale continua a ridursi.

A questo si aggiunga che, ancora a marzo del 2024, quasi il 35% dei lavoratori dipendenti in Italia ha un contratto nazionale scaduto! I contratti della Pubblica Amministrazione sono tutt'ora in attesa di rinnovo!

"Le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9 per cento, in rafforzamento rispetto al 2022 (1,1 per cento). I prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni".

Tra il 2020 ed il 2023 il reddito disponibile complessivo delle famiglie è cresciuto, a prezzi correnti, del 16% ma, a causa dell'inflazione, il potere d'acquisto (reddito disponibile a prezzi costanti) si è ridotto dell'1,8% nel 2022 e dello 0,5% nel 2023.  Rispetto al 2019, i lavoratori si sono impoveriti dell'1,5%.

Questa dinamica va avanti da oltre trent'anni e, come denuncio in "Riscoprire il conflitto", comporta una progressiva crescite delle disuguaglianze e della concentrazione della ricchezza prodotta in poche mani.

Se la ricchezza prodotta da un Paese cresce ma il potere d'acquisto di chi vive di lavoro si riduce, vuol dire che essa viene in gran parte incamerata dalla minoranza già schifosamente più ricca. 

Anche la propensione al risparmio (sempre altissima per le famiglie italiane) si contrae: nel 2019 era dell'8,1%, mentre nel 2023 è calata al 6,3%. Questo è un effetto diretto dell'impoverimento dei salari reali, in quanto il bisogno di procurarsi i generi di prima necessità porta alla impossibilità di mettere da parte i risparmi.

Per il neoliberismo il capitale deve sempre essere remunerato, anche a discapito del lavoro.

Per il neolaburismo che dobbiamo realizzare, la ricchezza prodotta va spartita equamente e il lavoro va non solo adeguatamente remunerato ma reso dignitoso, libero e sicuro. 

Il rapporto, nelle 240 pagine di cui si compone, evidenzia anche che l'impatto dell'inflazione è stato maggiormente sentito dalle famiglie più povere, in quanto per esse il peso dei beni energetici e alimentari (i cui costi sono cresciuti maggiormente) è maggiore rispetto a quanti risultano più benestanti.

Ancora, l'ISTAT rileva il rapporto - per molti di noi a dire il vero già chiarissimo da anni - che c'è tra la precarizzazione del lavoro cui il neoliberismo ha puntato da decenni e l'impoverimento di chi lavora per vivere: "la tendenza alla riduzione delle retribuzioni pro capite reali può essere perciò associata alla crescente diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate e a bassa intensità lavorativa, alle quali si è aggiunta negli ultimi anni l’erosione esercitata dalla crescita dell’inflazione".

L'indicatore di disuguaglianza (dato dal rapporto tra la spesa totale corrente equivalente delle famiglie del 20% più ricco e quello del 20% più povero della popolazione) è cresciuto. Così come la povertà assoluta, relativamente alla quale "si raggiungono livelli mai toccati in precedenza, per un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui in povertà". Tra questi, i minori incidono per il 14%: cosa che è davvero indegna di un Paese che osa dirsi civile.

Altro dato drammatico è quello relativo all’incidenza della povertà individuale tra i lavoratori che ha avuto un incremento del 2,7% passando dal 4,9% del 2014, al 5,3% del 2019 e al 7,6% del 2023.

L'ISTAT evidenzia come l'Italia abbia una "quota molto elevata" di lavoratori in condizioni di vulnerabilità economica, dovuta soprattutto all'erosione del potere d'acquisto reale delle retribuzioni, alla loro crescita più contenuta rispetto alle dinamiche inflattive.

Tra il 2013 e il 2023, le retribuzioni lorde annue in Italia sono aumentate complessivamente di circa il 16% per cento, cioè poco più della metà di quello registrato nella media UE27, pari a +30,8%. In particolare, in Spagna e Francia si è registrato un +22,7% e in Germania un +35%.

Guardando alle retribuzioni in termini reali, il divario tra il nostro Paese e le altri grandi economie è ancora più ampio: nel 2023, l’Italia è l’unico paese con un livello medio inferiore al 2013. Nell'ultimo decennio il potere di acquisto delle retribuzioni lorde "è cresciuto nella media Ue27 del 3,0 per cento, mentre in Italia è diminuito del 4,5; per Francia, Spagna e Germania le retribuzioni reali sono aumentate rispettivamente dell’1,1, del 3,2 e del 5,7 per cento".

Non mi dilungo ulteriormente e concludo semplicemente notando che, se per qualcuno tali rilevazioni ancora non sono sufficienti ad ammettere la gravità della situazione in cui le logiche neoliberiste hanno condotto il mondo del lavoro e il Paese, allora potrà concentrarsi sulle analisi del centro studi di Unicredit che rilevano come tra il quarto trimestre del 2019 ed il quarto trimestre del 2023 "le retribuzioni reali (ossia tenendo conto dell’inflazione) dei dipendenti italiani sono scese dell’8%, quasi il triplo rispetto al – 3% medio della zona euro".

Secondo il "banchiere" a capo dell'ufficio studi della seconda banca del Paese, ciò sarebbe causato anche "da rivendicazioni salariali relativamente contenute, da un processo scaglionato di rinnovo dei contratti e dall’assenza di un salario minimo".

Torniamo a rivendicare, riscopriamo il conflitto!


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