La produzione capitalista è orientata in ogni settore a realizzare il massimo profitto. Rispetto a questo fine generale ogni prescrizione da adottare in termini di sicurezza sul lavoro viene percepita "dal sistema" come "un costo" che riduce o compromette il raggiungimento del fine.
Nella spicciola logica produttivistica l'unica sicurezza sul lavoro utile e necessaria è quella che preserva i profitti da costi/danni peggiori. Onde evitare tale "male peggiore" il capitale ricorre ai mezzi più economici possibili, spesso puramente formali, in termini di sicurezza, tendendo a preservare la maggior quantità possibile di profitto.
Considero quanto appena ipotizzato un punto di partenza "postulato", per il proseguimento del discorso ma, per chi volesse, l'esperienza nota di due secoli di società capitalista potrà, attraverso ampi e reperibili studi, offrire tutte le giustificazioni e spiegazioni del caso.
Scendiamo quindi dal contesto generale al particolare nazionale italiano.
Le serie storiche statistiche dell'Inail, che registrano gli infortuni sul lavoro e la loro intensità estrema (morte), non bastano a comprendere il fenomeno e capirne l'evoluzione, se non si intrecciano con i cambiamenti della società, delle produzioni e dei processi produttivi.
Di seguito due tavole sulla base delle serie storiche delle denunce dal 1951 al 2017, eppoi dal 2018 al 2022 grazie ad i dati pubblici disponibili sul sito Inail.
1) linee di tendenza delle curve degli infortuni mortali e del totale infortuni.
2) andamento della percentuale degli infortuni mortali sul totale degli infortuni.
Dal primo grafico potremmo osservare che:
- esiste una correlazione diretta fra il numero degli infortuni e la mortalità degli stessi (dove una maggiore distanza fra le curve racconta di una maggiore incidenza delle morti sul totale);
- esiste una tendenza discendente dal 1970 al 2017 (ultimo anno della serie storica) al 2022 (ultimo anno consolidato disponibile).
Dal secondo grafico potremmo osservare che:
- pur nell'ambito di una relazione diretta fra infortuni totali e mortali c'è una tendenza discendente della incidenza delle morti che si interrompe e inverte 2 volte, dal 1982 al 1989 e dal 2009 al 2022;
- il numero dei morti può sembrare minimo, in percentuale, rispetto al totale degli infortuni ma, in termini assoluti, parlare di più di 5 morti per giornata lavorativa provoca un giustificato sdegno, è un numero sempre più inaccettabile sul piano sociale.
Fra il 1951 ed il 2017, date limite della serie storica, al 2022 ultimo anno consolidato, occorre annotare che vi sono stati alcuni cambiamenti nella società:
- tendenziale maggiore consapevolezza delle norme e trasparenza nelle denunce (pur sempre falsate da convenienze inverse);
- generale miglioramento delle condizioni di trasporto e igiene;
- generale finanziarizzazione delle attività produttive e conseguente de-industrializzazione, coerentemente con l'evoluzione delle economie più avanzate;
- generale automazione delle attività produttive manuali residue;
- generale miglioramento tecnico e tecnologico dei mezzi di produzione.
Considerare i cambiamenti sopra riportati rende abbastanza scioccante valutare che, ad esempio, nel 2015 vi sia stata una incidenza di morti rispetto al totale degli infortuni pari al 1990.
Ciò vale a dire che a distanza di 25 anni, nonostante la trasformazione del lavoro verso una generalizzata de-industrializzazione, nonostante tutte le migliorie introdotte in termini di ecosistema del lavoro e dei mezzi di lavoro, si è tornati ad elevare l'incidenza della mortalità fino a 6 morti per giorno lavorativo.
I dati del 2020 e del 2021 pongono un quesito diverso: si vuol integrare la maggiore mortalità nell'ambito della eccezionalità del fenomeno Covid, oppure considerare il fallimento delle politiche di sicurezza a fronte di un fenomeno epidemiologico? In ogni caso il dato del 2022 e quello "atteso" per il 2023 mi pare che ci riportino alla precedente tendenza.
Detto quanto sopra ritengo che non sia accettabile un sistema che consapevolmente mette in conto di uccidere 6 persone per ogni giorno lavorativo.
Mi risulta inoltre vomitevole leggere le dichiarazioni sui media di tutti i ruoli istituzionali, imprenditoriali e specialistici (accademici) quando si verificano episodi "sopra la media" che uccidono 5/6 lavoratori in un sol botto: il compito a cui lor signori sono delegati è quello di legiferare, regolamentare e finanziare ciò che è stato istituito, affinché per tutti gli anni successivi non si debba più mettere in conto 1300 omicidi sul lavoro di media all'anno, né un po' per volta né in un colpo solo.
Per andare in tale direzione occorre innanzitutto ridare dignità e potere ai lavoratori.
Gli ispettorati del lavoro sono stati colpevolmente decimati e resi inefficaci. Vanno senz'altro riattivati e incrementati di forze, finanziamenti, e norme severe ed esigibili da far rispettare. Così come occorrono investimenti in mezzi e uomini nelle forze di sicurezza e sanitarie che comprendono il mondo del lavoro fra le loro competenze.
Ma ciò, conoscendo la tendenza fondamentale del capitalismo postulato in premessa, non potrà ritenersi sufficiente. Non sarà mai possibile avere strutture ispettive tali da poter controllare ogni giorno ogni sito produttivo.
Ma ogni giorno in ogni luogo di lavoro ci saranno i lavoratori. Chi meglio di loro potrà controllare ad ogni passo che non vengano assunte scorciatoie nelle prassi, tali da alzare il rischio e aumentare gli infortuni?
Esistono gli Rls, Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, non di meno esistono i Rappresentanti sindacali ma, senz'altro, ovunque, esiste l'enorme platea dei lavoratori. È con dolo che a tutti quanti è stata tolta la tutela rispetto al licenziamento illegittimo. Con una falsa e arrogante narrativa si è voluto creare consenso intorno a presunti fini occupazionali mentre, invece, si è voluto togliere potere e sicurezza e rendere precari coloro che avrebbero potuto sorvegliare le prassi del lavoro.
Dovrebbe essere implicito che una cosa illegittima vada sanzionata e non tutelata. Invece il licenziamento illegittimo è stato premiato escludendo il reintegro del lavoratore, togliendogli rispetto da parte dello Stato e dignità. A stretto giro le aziende sono diventate "brave" ad inventarsi motivi pretestuosi per liberarsi dei lavoratori scomodi, senza esporsi a coincidenze temporali rispetto all'attività svolta.
Ma più importante e disastroso ancora è l'aver reso assoluto il potenziale di intimidazione del datore di lavoro.
Il rinculo rispetto alle regole previgenti risulta ancor più grande se pensiamo che sarebbe stato necessario il contrario: lo spezzettamento in tantissimi sub appalti del lavoro produttivo ha fatto sì che realtà di 150 lavoratori fossero composte da più di 10 piccole ditte, ciascuna esente per logica del 1970, dalle tutele dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sarebbe quindi stato necessario estendere a tutte le realtà produttive, a prescindere dalle dimensioni, le maggiori tutele.
In conclusione, per volontà istituzionale del legislatore (il quale ha cambiato più volte colore politico senza mai smentire o cancellare quanto tragicamente era stato fatto):
- i lavoratori ed i loro Rappresentanti sono stati paralizzati pena il licenziamento;
- gli ispettorati sono stati svuotati di persone e risorse;
- le forze di sicurezza e sanitarie idem;
- la legislazione è stata ammorbidita per consentire sempre più libertà alle tecniche di appalto e sub appalto oltre ad ogni altra forma di reperimento occasionale e precario...
Dobbiamo anche sopportare la beffa delle lacrime di coccodrillo di tanti ipocriti?
Anche per tutto questo i 4 quesiti referendari posti dalla Cgil sono idealmente una ancora di salvezza ed una iniziale inversione di tendenza. Tutti coloro che ambiscono a far parte di una società civile dovrebbero sostenerli. Per questo Stato non ci sono, al momento, posizioni alternative dignitose.
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