La cronaca di questi giorni parla ancora una volta degli ennesimi morti sul lavoro, uccisi da chissà quale legge disattesa, da quale protocollo sulla sicurezza saltato a piè pari, quanti soldi risparmiati per non fare manutenzione o formazione.
Non è accettabile, non possiamo accettarlo, nessuno di noi
dovrebbe consentire queste speculazioni sulla pelle dei più deboli, le lavoratrici e i lavoratori. Quando ho iniziato il percorso da RLS, ovvero Rappresentante
dei Lavoratori per la Sicurezza, ho avvertito che per l’azienda si trattava
dell’ennesimo fastidio, più ancora di un tavolo di trattativa sindacale. Non me
lo aspettavo, pensavo che almeno in questa veste avremmo lavorato fianco a
fianco per il bene di chi lavora, per la salute e la sicurezza dei nostri
colleghi e delle nostre colleghe. E invece mi sono ritrovata in una scena
surreale: la paura che in quella visita ufficiale da RLS avremmo fatto degli
esposti e segnalato delle mancanze, era più importante del resto.
Ho fatto i conti allora, con una realtà più grande, ho capito perché ci sono morti per lavoro quasi ogni settimana, se quando si tratta di salute e sicurezza si ragiona in questo modo malato. Tommaso nel suo saggio, Riscoprire il conflitto, parla di “una misura di civiltà” a proposito di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e beninteso è esattamente come dovrebbe essere, non si può dover scegliere tra diritto al lavoro e diritto alla salute, come non si può pensare di trascendere dal revisionare un impianto senza mettere in conto che potrà succedere qualcosa di grave. Non stiamo parlando di diritti negoziabili e non possiamo accettare, noi RLS ma la società tutta, i lavoratori e le lavoratrici in primis, che le aziende non mettano in campo risorse adeguate per finanziare formazione e manutenzione, ed evitare che si debba stare qui a parlare ancora una volta di tragedie che non devono ripetersi. Non si può uscire per andare a lavorare e non tornare la sera a casa.
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